Il mio approccio si fonda anche sul voler sradicare la connessione tra psicoterapia e malattia: può capitare a tutti nel corso della vita di soffrire, senza per questo avere una patologia.

Credo che in psicoterapia non si aggiusti ciò che è rotto, non si sani ciò che è malato ma si accolga con rispetto, dignità e sincero interesse quello che la persona vive e prova. In altri casi può non essere nemmeno presente un aspetto di sofferenza, ma può esserci la curiosità di scoprire chi siamo o il desiderio di relazionarsi con gli altri in modo diverso.

L’aspetto comune, indipendentemente dalla motivazione, è legato al fatto che nella relazione psicoterapeutica l’altro può fungere da attivatore di risorse che già si possiedono e che una volta recuperate possono essere utilizzate anche ad altri ambiti della propria vita.

Quello che viene vissuto e sperimentato come deficit o problema può allora diventare stimolo di potenziamento e opportunità di benessere per la persona. Approcciarsi in questo modo ai sintomi o ai vissuti dolorosi aiuta a sentirsi attore, protagonista e creatore della propria vita; e favorisce lo stabilirsi di una fiducia di base in sé profonda e duratura. Ciò che percepisco e vivo come invalidante, situazioni che sento di dover subire o in cui mi sento immobile e impotente, possono assumere così un significato diverso legato alla crescita personale, al cambiamento e alla gestione di ciò che mi accade.

Tutto ciò si rende possibile perché lo psicoterapeuta si caratterizza come figura che non dà solo consigli, ma offre l’opportunità attraverso l’ascolto e il dialogo di sentirsi compresi e guidati in modo rispettoso e accogliente, anziché giudicati, nel trovare la strada migliore per se stessi senza imposizioni.